Io non sapevo cosa mi aspettava il giorno in cui mi resi conto della mia identità reale. Fin da piccola mi sentivo diversa dalle altre persone intorno a me, come se avessi un segreto nascosto dentro di me. E poi, un giorno, tutto cambiò. Mi risvegliai in un ospedale deserto, con del personale cordiale che cercava di farmi sorridere. Ma non capivo perché ero lì, o cosa mi era successo prima di venire lì.
Un medico gentile cercò di spiegarmi, ma non riuscii a comprenderne nulla. Parlava di peso del cervello e di operazioni complesse, ma per me erano solo parole senza senso. Feci altre domande, ma lui evitava di rispondere direttamente. Sembrava che stesse nascondendo qualcosa.
Poi, punto e basta, lui mi licenziò, dicendo di dover andare ad assistere un altro paziente. Io non ero mia stessa risposta. Iniziai ad avvertire un senso di confusione e incertezza crescente.
“Tutto andrà bene”, mi disse una infermiera di passaggio. “Solo un po’ di test e poi potrai tornare a casa.” Tentai di essere coraggiosa per la sua. “Grazie”, risposi. “Ecco, va bene così.”
A smerigliante non buono sembrava risolversi malamente. UN attimo dopo sentii una voce si staccare da qualcosa e qualcuno colorarlo di certi tessuti.
“Signora, sa essere la cultura la migliore a fare corpo con le origini?”